Al di là del meeting della Fed di questa settimana, il cui esito è già ampiamente prezzato dai mercati, il tema dell’indipendenza della banca centrale americana resta centrale anche per il 2026.
Secondo Florence Pisani, Chief Economist di Candriam, “qualunque dovesse essere la decisione della Corte Suprema sul caso di Lisa Cook, la pressione della Casa Bianca sulla Fed è destinata ad aumentare in vista delle elezioni di metà mandato”.
Pisani sottolinea poi come vi sia anche un fattore più strutturale che potrebbe rafforzare la determinazione dell’amministrazione Trump a vedere la banca centrale “cooperare” con il Tesoro. “Contrariamente alle previsioni dei consulenti economici della Casa Bianca, il One Big Beautiful Bill Act è destinato ad aumentare significativamente il rapporto tra debito pubblico e PIL nei prossimi anni. Il Tesoro potrebbe ovviamente ridurre la percentuale di emissioni a lungo termine e promuovere stablecoin, una quota consistente delle quali è investita in titoli del Tesoro”, spiega Pisani.
Anche le banche potrebbero giocare un ruolo cruciale. Philippe Dehoux, Head of Global Bonds di Candriam, ricorda che “l’allentamento dei vincoli di capitale già avviato da Michelle Bowman, ora responsabile della supervisione bancaria, faciliterebbe per le banche l’assorbimento dei Treasury”. Dehoux avverte però che la situazione storica differisce da quella del secondo dopoguerra: “All’epoca, il debito statunitense era quasi interamente detenuto da investitori nazionali; oggi, quasi il 30% dei titoli è detenuto da investitori esteri. Un regime di ‘repressione finanziaria’ potrebbe minare seriamente la loro fiducia”.
Per i mercati globali, un’erosione della credibilità della Fed potrebbe tradursi in un irripidimento della curva dei rendimenti USA di 50-100 punti base. Dehoux spiega che “i rendimenti a breve termine calerebbero, riflettendo aspettative più marcate di un taglio dei tassi di riferimento, mentre quelli a lungo termine aumenterebbero a causa di un premio di termine più elevato, riflettendo i crescenti dubbi sulla coerenza della politica monetaria e sulla capacità della banca centrale di tenere sotto controllo l’inflazione”.
In caso di scivolamento dell’estremità a lungo termine della curva, Pisani nota che “il Tesoro potrebbe ridurre la percentuale di emissioni a lungo termine e l’amministrazione Trump potrebbe esercitare pressioni sulla Fed affinché concentri i suoi acquisti su questa parte della curva”. Un allentamento eccessivo delle condizioni finanziarie, aggiunge Dehoux, “potrebbe essere accompagnato, se non da un immediato aumento dei prezzi, almeno da un aumento delle aspettative di inflazione, creando un contesto favorevole per le obbligazioni indicizzate all’inflazione”.
Infine, secondo Pisani, “se l’indipendenza della Fed dovesse essere messa in discussione, prevediamo che il dollaro risulterebbe l’asset più vulnerabile”. Tra i fattori destinati ad esacerbare questa fragilità vi è la ricerca di copertura valutaria da parte degli investitori internazionali, particolarmente efficace in Europa, dove l’esposizione in dollari di alcuni importanti fondi pensione rimane vicina ai massimi dell’ultimo decennio. Un dollaro più debole, nota Pisani, sarebbe in linea con i desideri dell’amministrazione Trump e di Stephen Miran, suo emissario e ora governatore della Fed, ma “un calo improvviso e brusco sarebbe meno apprezzato”.
